ThePeriod è la newsletter al femminile ideata da @corinnadecesare (giornalista del Corriere della Sera)
Se hai mandato a qualcuno foto di te nuda, dovresti leggere questo
pezzo. Non sentirti in colpa: il sexting, come il sesso, avviene con
consenso reciproco e attraverso una relazione di fiducia. Se lo hai fatto, èperché hai dato fiducia alla persona con cui stavi chattando in quel
momento.
Proprio come Darieth Chisolm, Pittsburgh, Pennsylvania e come lei tantealtre donne in ogni angolo del pianeta. In alcuni casi però le foto passanoda telefono a telefono e poi da gruppo a gruppo fino a diventare di
dominio pubblico. Sappi che è qualcosa di perseguibile per legge, anche
in Italia dove è stato appena riconosciuto come un reato di genere visto
che riguarda le donne nel 90% dei casi.
Perché il revenge porn, la condivisione non consensuale di materiale
intimo, questo è: un reato, diventato perseguibile anche da noi
attraverso un emendamento al Codice Rosso. Sotto accusa sono finite le
piattaforme responsabili di diffusione della violenza, e una regolamentazione obsoleta e inadeguata che non permette alle vittime di agire in tempo per arginare il danno alla propria reputazione.
«Avevo circa cinque minuti prima di tenere un discorso a un gruppo di imprenditori, quando ho guardato il cellulare per vedere l’ora – ha
raccontato in un TeDX Darieth Chisolm, conduttrice televisiva e business
coach –. Una telefonata di mio marito: Darieth, cosa sta succedendo? Mi ha appena chiamato un tizio che mi ha detto di andare su un sito e ora
mi ritrovo a guardare tutte queste foto di te nuda. Le tue parti intime
sono ovunque».
Darieth non riesce a parlare, non riesce a pensare, non riesce a respirare. È travolta dall’umiliazione e dall’imbarazzo, dalla vergogna, proprio
come tutte le vittime di revenge porn. In Italia si è cominciato a discuteredel problema da poco ma da anni ormai su piattaforme come Telegram ci sono decine di chat popolate da uomini di ogni età dove lo scambio di
foto e video di donne senza il loro consenso è diventato un nuovo modo
di creare rete e divertirsi. Come può una legge da sola, fermare il flusso di foto e video che ogni giorno vengono inviati in queste chat da migliaia diuomini, che poi raccolgono e categorizzano questo materiale in un
gigantesco archivio online chiamato ‘La Bibbia’? Come possiamo pensareche una legge faccia sentire questi uomini meno giustificati a fare ciò chefanno? Nella Bibbia c'è di tutto: dai selfie di ragazze minorenni inviati ai rispettivi fidanzatini fino ai video fatti alle ragazze durante il sesso con
videocamere occulte o scatti rubati dai social network.  
È possibile difenderci da tutto questo? Una donna può ancora vivere la propria vita e la propria intimità in maniera serena nell’era di Internet,
in cui l’assoggettamento e la violenza di genere cercano e trovano nuovi
strumenti con cui espandersi?
Non è facile, ma forse cambiare è ancora possibile. 
L’oggettificazione e la sessualizzazione continua del corpo femminile
sono alla base di questo trattamento degradante per cui diventiamo,
testuale, ‘tutte puttane’ (così il nome di una di queste chat).
Troppo spesso, infatti, normalizziamo e lasciamo che queste azioni vengano etichettate come ‘cose che fanno i maschi’, come se nascere con il
pisello legittimi automaticamente questi comportamenti tossici e violenti.
Riconoscere il problema nella cultura patriarcale che giustifica e
incoraggia questi atti è fondamentale anche per evitare di incolpare le
vittime che subiscono questa profonda umiliazione: se una donna vuole
fotografarsi nuda, ha il diritto di farlo.
Va urlato a gran voce che anche le donne, come gli uomini, sono libere di
fare sesso (anche virtuale) con chi gli pare, senza che nessuno si arroghi
il diritto di trattarle come carne da macello. Reclamare la nostra libertà e la nostra autonomia decisionale nel vivere la nostra intimità come
più ci piace è il primo passo per capire che non siamo sole e che se
subiamo violenza non è colpa nostra e non abbiamo nulla di cui
vergognarci. 
Rompere il silenzio, come Darieth Chisolm, può spezzare la catena
dell’odio. Il suo caso, dopo undici mesi di processi e migliaia di dollari
spesi in cause legali, è diventato un caso di portata internazionale tra
Stati Uniti e Giamaica. Ma questo non basta. Bisogna fare pressione nei
confronti delle piattaforme tecnologiche (Google, Facebook, Whatsapp)
per riprendere il controllo dei nostri dati e della nostra privacy. Oggi più
che mai è necessario creare rete per discutere dei problemi che riguardano le violazioni della nostra intimità online e decidere che passi prendere per creare una società più giusta e sicura per tutti.
Infine, esistono dei piccoli accorgimenti che ognuna di noi può praticare
nella propria vita privata quando decide di fare sexting.
Prima di tutto, dobbiamo essere certe di volerlo fare, senza sentirci
forzate. Una volta che abbiamo deciso per il Sì, dobbiamo "anonimizzare" il più possibile le foto evitando di mostrare il viso o elementi identificativi come i tatuaggi. Una foto erotica non è necessariamente una foto in cui sivede tutto il corpo, ma può essere anche un ritratto di parti di esso.
Ci sono infine dei canali più sicuri per fare sexting, come Telegram o
Signal, che permettono di avere più controllo sul materiale inviato,
mentre applicazioni come Snapchat, Instagram o Messenger sono
altamente sconsigliate poiché conservano tutto.
Prendere precauzioni di questo tipo è sicuramente utile per preservare la nostra intimità, tuttavia, bisogna avere la consapevolezza che una
sicurezza online al 100% non esiste.
Per questa ragione, lottare per un cambiamento culturale e continuare a
discutere di parità dei sessi è indubbiamente la via più efficace per
difendersi davvero dal revenge porn.
È un cammino che richiederà tempo, sforzi e pazienza, ma sono sicura
che insieme ce la faremo.
L'autrice: Silvia Semenzin ha 28 anni ed è ricercatrice in Sociologia
digitale all'Università Statale di Milano. è stata promotrice della petizione
#intimitàviolata con Insieme in rete, I sentinelli e Bossy.